L’Anniversario della strage alla stazione di Bologna, dopo 40 anni di indagini, processi e depistaggi
Le lancette dell’orologio della stazione centrale resteranno per sempre ferme alle ore 10.25 , è l’ora in cui il 2 Agosto 1980, un ordigno potentissimo nascosto in una valigetta viene fatto esplodere nella sala d’aspetto provocando 85 morti e 200 feriti.
È un caldo sabato d’estate a Bologna e la sala d’aspetto di seconda classe della stazione centrale è affollata, tutti aspettano un treno, alcuni per tornare a casa, altri per andare in vacanza, famiglie, studenti, operai, madri, padri, figli, gente comune che su quel treno non è mai riuscita a salire.
Tra loro c’era Iwao Sekiguchi, uno studente giapponese di 20 anni, il suo sogno era quello di conoscere l’arte e la cultura Italiane, Iwao dopo essere stato a Roma e Firenze stava partendo da Bologna per andare a Venezia. Sotto le macerie viene trovato il suo diario nel quale aveva scritto queste righe, inconsapevole che quella sarebbe stata l’ultima pagina della sua vita: “2 agosto: sono alla stazione di Bologna. Telefono a Teresa ma non c’è. Decido quindi di andare a Venezia. Prendo il treno che parte alle 11:11. Ho preso un cestino da viaggio che ho pagato cinquemila lire. Dentro c’è carne, uova, patate, pane e vino. Mentre scrivo sto mangiando”.
Poi l’esplosione. E insieme ad Iwao perdono la vita altre 84 vittime innocenti, storie diverse con un triste comune destino: morire in quella sala d’aspetto le cui “macerie morali”, non saranno mai smaltite e peseranno per sempre sulla coscienza dello Stato Italiano.
Strage di Bologna: i misteri su mandanti e motivazioni
Quel 2 Agosto segna il più doloroso momento nell’Italia degli anni di piombo, l’Italia dei terroristi neofascisti e delle brigate rosse, l’Italia delle “stragi di stato” che partendo dalla bomba in Piazza Fontana a Milano nel 1969 continuano per oltre un decennio a sfruttare la strategia della tensione per seminare odio e morte. E così passando attraverso attentati, omicidi, bombe, esecuzioni, stragi, episodi tristemente famosi come quello del Treno Italicus, Piazza della Loggia, l’omicidio di Giuseppe Pinelli, il rapimento di Aldo Moro, solo per citarne alcuni, si arriva a quello di Bologna che verrà poi definito come “il più grave atto di terrorismo della storia Italiana”.
La strage di Bologna è ad oggi praticamente l’unica che ha potuto dare un nome e una condanna definitiva agli esecutori materiali: Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini; tutti appartenenti ai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), una delle organizzazioni terroristiche neofasciste tra le protagoniste dell’eversione e della lotta armata negli anni di piombo e che già si era lasciata alle spalle una lunga scia di sangue e terrore, sparso grazie anche ai finanziamenti e alla complicità della malavita e di alcuni dirigenti dei servizi segreti.
Nel corso dei processi infatti si arriva finalmente alla conclusione che i NAR non erano altro che pedine in mano ai potenti, e agivano in uno scenario nel quale si intrecciavano rapporti tra faccendieri di Stato, Servizi Segreti, criminalità organizzata e organizzazioni terroristiche. Nell’inchiesta emergono nomi importanti che appartenevano a quella parte di “potere deviato” che aveva interesse a spargere il clima di terrore in Italia per distogliere l’attenzione dei cittadini e destabilizzare il Paese in vista di manovre politiche volte a spingere ai vertici del potere alcuni partiti rispetto ad altri.
Durante le indagini spunta finalmente il nome di Licio Gelli il “venerabile maestro” della loggia massonica P2 (Propaganda due), poi rivelatasi come vera e propria organizzazione criminale che controllava e gestiva gli intrighi tra potere e malavita in Italia in quegli anni. Gelli viene inizialmente condannato per depistaggio e solamente dopo 40 anni, seguendo la pista di alcune somme di denaro che dalla P2 venivano versate sui conti dei NAR, la procura generale di Bologna arriva a riconoscere la sua responsabilità nell’essere tra i mandanti della strage, nel 2020 viene quindi condannato, insieme ad altri funzionari di stato e dei servizi segreti: Mario Tedeschi, Umberto Ortolani e Federico Umberto D’Amato che all’epoca era direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’interno.
Ma i quattro, ritenuti colpevoli di essere organizzatori, finanziatori e mandanti della Strage di Bologna non verranno mai neanche processati poiché, alla data della condanna, risultavano già tutti deceduti, dopo essere arrivati serenamente alla vecchiaia nelle loro case, nonostante la coscienza sporca di sangue. Ma ormai è tardi e purtroppo le lapidi non possono parlare, i quattro “venerabili nomi” hanno portato con loro non solo una gran parte di segreti e misteri riguardo agli intrighi tra Stato e terrorismo, nel periodo più oscuro della Prima Repubblica, ma anche le risposte che le famiglie delle vittime della strage di Bologna stanno ancora cercando dopo 40 anni.