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Omofobia, 138 denunce. Presidente Arcigay RC: “L’educazione è necessaria”

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In occasione dell’ultimo anniversario della Giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, Arcigay ha diffuso un report sugli episodi omotransfobici denunciati ufficialmente in Italia nel corso dell’ultimo anno

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omofobia (foto dal web)

I dati diffusi dall’Arcigay sui fenomeni di omofobia, sono però solo parte di un fenomeno assai più diffuso, considerando anche che in un paese come l’Italia dichiararsi omosessuale, bisessuale o transessuale è ancora considerato un “atto di coraggio”. Coraggio, purtroppo, ancora accompagnato da una paura costante per la propria persona, stando ai dati e agli episodi di violenza ai danni di persone provano a vivere una quotidianità che molti altri ancora ritengono di dover “tollerare”.
Sono 138 i casi denunciati, tra cui 74 avvenuti nel Nord Italia, 30 al Centro, 21 al Sud e 13 nelle Isole. La maggior parte degli episodi si configurano in vere e proprie aggressioni, altri si rivelano adescamenti a scopo di rapina, ricatto o estorsione, violenze familiari. Vi è un numero altrettanto massiccio di discriminazioni o insulti in luoghi pubblici, scritte sui muri, auto o abitazioni. La realtà virtuale non è di certo meno rilevante, sono tanti infatti gli episodi di hate speech e incitazione all’odio da parte di militanti di gruppi politici o movimenti a favore della famiglia tradizionale sulle piattaforme social. Vi è certamente una lotta singolare nei confronti di qualcosa che, nel 2020, viene ancora considerato temibile, sporco, una mina vagante che andrebbe a distruggere un equilibrio quasi sacrale per molti.
Sull’approfondimento dei dati, relativo anche alla diffusione geografica del fenomeno, interviene  Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay: “Maglia nera al Nord, dove hanno avuto luogo più della metà delle storie censite e dove in effetti, in particolare in alcune città, continua il segretario, abbiamo la sensazione concreta di un rafforzamento dell’istanza omotransfobica, spesso legittimata e reiterata anche dalle istituzioni”.
Dall’analisi dei dati emerge, infatti, come la propensione alla denuncia sia maggiore al Nord rispetto al Sud, nonostante i dati siano falsati da numerosi fattori, come il fatto che solo una fetta di popolazione abbia effettivamente rivelato il proprio orientamento sessuale “divergente”. Piazzoni dichiara, infatti: “Il 62% delle persone lgbti intervistate nel nostro Paese evita di tenere per mano il compagno o la compagna in pubblico. Il 30% di loro addirittura si tiene alla larga da certi luoghi o certe zone per paura di essere aggredito o aggredita. Le persone lgbti visibili nel proprio contesto sono sotto la soglia del 40%, quindi oltre il 60% preferisce vivere nell’ombra.

Michela Calabrò, presidente Arcigay di Reggio Calabria

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omofobia (foto dal web)

Questo rappresenta un punto importante, anche per comprendere l’andamento dei dati del report sulle aggressioni. Abbiamo parlato di questo con Michela Calabrò, presidente di Arcigay “I Due Mari” di Reggio Calabria, che ci ha fornito una riflessione riguardante sia il fenomeno in generale, sia sul divario emerso nei dati. Divergenza giustificata dal fatto che c’è ancora una reticenza al coming out, soprattutto nei al Sud, causata per lo più da una mancanza di misure di supporto nei confronti di una comunità che non è ancora preservata da un punto di vista giuridico.

La Presidente, infatti, dice: “E’ interessante su questo spettro dare visibilità anche al fatto che non vi è una distinzione solo tra Nord e Sud, in quanto a discriminazioni, ma anche tra centro e periferie, e –  aggiunge – i dati sono sicuramente falsati, non perché chi ha denunciato non ha detto la verità ma perché, spesso, non si denuncia o per paura di dichiararsi o perché non essendoci un’aggravante per quel tipo di discriminazione o di violenza la vittima non specifica i motivi dell’aggressione”. Qui si snoda probabilmente il punto centrale della questione che si traduce nel fatto che, nonostante in Italia si stia portando avanti una lotta poderosa per il riconoscimento dei diritti della comunità lgbtq+, vi è una resistenza altrettanto consistente da parte di istituzioni e organismi che hanno una presa importante sull’immaginario collettivo. Michela Calabrò fa leva sull’importanza di una legge che punisca formalmente ogni tipo di discriminazione sottolineando che la mancanza di questo tipo di garanzia giuridica influenza in maniera considerevole la propensione alla denuncia.
La necessità di una legge nazionale nasce da questo bisogno, cioè quello di fare emergere e di incoraggiare le persone a denunciare o comunque segnalare determinati tipi di discriminazioni, di violenze, di soprusi, ecco perchè noi vogliamo una legge che non difenda la vittima solo da un punto di vista formale ma anche sostanziale, che preveda tutta una serie di azioni di prevenzione, di contrasto all’odio (ad esempio online), alle discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo. Su questo punto per noi è di fondamentale importanza che la legge abbia una specifica attenzione sul tema della prevenzione. Negli anni abbiamo organizzato anche dei laboratori formativi e iniziative concordate con gli istituti scolastici, ma questi sono interventi che hanno bisogno di continuità e pianificazione nel tempo”.
Dal suo punto di vista, infatti, emerge come sia necessario investire non solo sull’essenza punitiva della legge ma soprattutto su un lavoro di educazione e prevenzione che vada ad incidere sulla natura di determinati comportamenti violenti e discriminatori. Su questo, inoltre, ci tiene a condannare la presa di posizione di chi afferma che questa legge rappresenterebbe una “violazione di libertà di espressione”.
“Se è vero che esistono opinioni diverse è altrettanto vero che esistono valori universali che non possono essere oggetto di libertà di espressione. Ci sono dei momenti, e la storia ce lo insegna, in cui bisogna prendere coscienza di quale sia il limite tra la nostra libertà di espressione e la libertà di ognuno di esprimere ciò che è, in termini di razza, di valori personali, orientamento sessuale, di colore della pelle. Se il Parlamento è all’altezza delle nostre vite, anche delle persone eterosessuali, non deve giocare a ribasso su una legge che può davvero cambiare la vita di tante persone”.
Nonostante debba essere realmente spunto di riflessione il perché, nel 2020, ci sia ancora la necessità di creare una linea difensiva che garantisca non solo la propria libertà di espressione ma anche la propria incolumità, è chiaro che una legge, mai come adesso, sia di estrema necessità per tutti.

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